Quando le false fatture diventano reato

La semplice annotazione contabile non ha valenza

iStock 1464029374

La sola registrazione di fatture false in contabilità non configura il reato di dichiarazione fraudolenta. Infatti, è solo con la presentazione della dichiarazione fiscale, che include quei documenti, che si perfeziona la frode ai danni dell’Erario. Lo ribadisce la Corte di Cassazione che, con la sentenza n.384888/2024, ha annullato con rinvio una condanna inflitta ad una imprenditrice per il reato previsto dall’articolo 2 del D.Lgs. n.74/2000.

“Il reato in questione ha una struttura bifasica. Si compone di una fase preparatoria, ovvero la registrazione delle fatture – ha sottolineato Guido Rosignoli, vicepresidente della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – e di una fase consumativa, rappresentata dalla dichiarazione fiscale fraudolenta. Ma è solo questa seconda fase a rilevare penalmente”.
Il legislatore, evidenzia la sentenza, intende perseguire solo le condotte che ledono direttamente gli interessi erariali, non quelle meramente preparatorie, come l’acquisizione o la registrazione in contabilità di documenti falsi.

“Si tratta infatti di un reato proprio – prosegue Rosignoli – che può essere attribuito solo a chi ha l’obbligo di presentare la dichiarazione. Ovvero a chi la sottoscrive e assume la responsabilità dei dati in essa contenuti”.

Con la sentenza, i Supremi Giudici hanno chiarito ulteriormente i confini del reato di dichiarazione fraudolenta: non è sufficiente la registrazione di fatture false, né rilevano quante esse siano. Quello che conta è la loro effettiva utilizzazione nella dichiarazione dei redditi o IVA, che rappresenta il momento in cui si consuma la frode ai danni dell’Erario.