
La sola registrazione di fatture false in contabilità non configura il reato di dichiarazione fraudolenta. Infatti, è solo con la presentazione della dichiarazione fiscale, che include quei documenti, che si perfeziona la frode ai danni dell’Erario. Lo ribadisce la Corte di Cassazione che, con la sentenza n.384888/2024, ha annullato con rinvio una condanna inflitta ad una imprenditrice per il reato previsto dall’articolo 2 del D.Lgs. n.74/2000.
“Il reato in questione ha una struttura bifasica. Si compone di una fase preparatoria, ovvero la registrazione delle fatture – ha sottolineato Guido Rosignoli, vicepresidente della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – e di una fase consumativa, rappresentata dalla dichiarazione fiscale fraudolenta. Ma è solo questa seconda fase a rilevare penalmente”.
Il legislatore, evidenzia la sentenza, intende perseguire solo le condotte che ledono direttamente gli interessi erariali, non quelle meramente preparatorie, come l’acquisizione o la registrazione in contabilità di documenti falsi.
“Si tratta infatti di un reato proprio – prosegue Rosignoli – che può essere attribuito solo a chi ha l’obbligo di presentare la dichiarazione. Ovvero a chi la sottoscrive e assume la responsabilità dei dati in essa contenuti”.
Con la sentenza, i Supremi Giudici hanno chiarito ulteriormente i confini del reato di dichiarazione fraudolenta: non è sufficiente la registrazione di fatture false, né rilevano quante esse siano. Quello che conta è la loro effettiva utilizzazione nella dichiarazione dei redditi o IVA, che rappresenta il momento in cui si consuma la frode ai danni dell’Erario.