Ai fini della verifica del superamento delle soglie di punibilità relativamente al reato di omessa dichiarazione, la Corte di Cassazione (sentenza n.43330/2023) ha ribadito l’utilizzabilità in sede penale degli esiti degli accertamenti operati dall’Agenzia delle Entrate.
“Nella sentenza, i Supremi Giudici hanno smentito la tesi del ricorrente – spiega Alfredo Accolla, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – evidenziando che nessuna norma vieta al giudice penale di avvalersi, ai fini della prova dei reati tributari, delle risultanze degli accertamenti operati in sede tributaria in base al principio di atipicità dei mezzi di prova operante nel processo penale, di cui è espressione l’art. 189 cod. proc. pen.”.
Pertanto, secondo la giurisprudenza di legittimità, il giudice penale può legittimamente avvalersi dell’accertamento induttivo, effettuato, mediante gli studi di settore, dagli Uffici finanziari per la determinazione dell’imponibile.
“Ricordiamo inoltre, che sebbene i criteri stabiliti per l’accertamento sintetico del reddito imponibile, attraverso il così detto ‘redditometro’ – prosegue Accolla – non siano per il giudice penale fonti di certezza legale, tuttavia costituiscono elementi indiziari corrispondenti a criteri logici, utilizzabili per una corretta motivazione della sentenza di condanna”.
Quanto all’incidenza dei costi spesi sull’ammontare dell’imposta evasa, la sentenza ha disatteso l’altro motivo di ricorso, ribadendo che è onere del ricorrente produrre elementi probatori dei costi sostenuti.