Stop al blocco dei licenziamenti, ripartenza decisa trainata dalla meccanica nonostante il rally sui prezzi sulle materie prime, sostegno totale al settore turistico. La ricetta di Enrico Carraro, presidente di Confindustria Veneto: “Se gli imprenditori si impegnano ad investire ed innovare, il governo deve compiere uno sforzo per garantire da un lato la rapida erogazione dei fondi europei e dall’altro portare avanti riforme urgenti”.
A gennaio lei è stato confermato per altri 4 anni alla guida di Confindustria Veneto. Che bilancio trae da questo suo primo giro di boa?
Ci siamo trovati ad affrontare un periodo molto difficile, quello della pandemia, ma questo ci ha permesso al contempo di andare al nocciolo di molte questioni, di fare un’analisi concreta e realistica dei problemi che andavano affrontati e delle priorità su cui puntare, anche rispetto alle trasformazioni di mercati, produzioni e modelli organizzativi già in atto e che sono state accelerate dalla crisi economica causata dal Covid-19. Questo ha permesso anche di rafforzare lo spirito di squadra del sistema imprenditoriale veneto che si è mosso in maniera compatta, condividendo iniziative e progetti. Questa sinergia e questo lavoro sono un patrimonio importante su cui costruire i prossimi quattro anni.
E’ passato oltre un anno dall’inizio della pandemia di Covid. Secondo l’ufficio statistico della Regione il Pil del Veneto è crollato del 9,3% nel 2020 ma nel 2021 si prevede un rimbalzo del +5,6%. Quali sono gli strumenti per far ripartire di slancio l’economia?
I dati sulla produzione industriale sono molto positivi in sé, perché abbiamo recuperato i livelli precrisi. Ma c’è anche un’altra buona notizia. Questo rimbalzo è dovuto per una buona parte all’incremento della produzione di beni strumentali, quelli acquistati dalle aziende per produrre. Segno che si è ripreso a investire. Ciò significa che gli imprenditori hanno fiducia nel futuro. Se gli imprenditori si impegnano ad investire ed innovare, il Governo – al contempo – deve compiere uno sforzo per garantire da un lato la rapida erogazione dei fondi europei e dall’altro portare avanti riforme urgenti come quelle riguardanti la semplificazione burocratica, la riduzione del cuneo fiscale e il rafforzamento delle politiche attive.
Lei è anche presidente di una delle eccellenze italiane della meccanica: come se la sta passando il settore?
E’ in progressivo miglioramento. I volumi della produzione in questa prima parte dell’anno stanno crescendo a doppia cifra ma ricordiamoci che il raffronto è con una buona parte del periodo di lockdown del 2020. E’ ripreso anche l’export verso i principali partner europei (Germania, Francia e Spagna) e verso la Cina, mentre gli scambi con gli Stati Uniti sono fermi al palo. Anche la meccanica sta affrontando due criticità in particolare: il costo e la reperibilità delle materie prime, che determina la riduzione dei margini di profitto, e la difficoltà a trovare profili professionali qualificati necessari per lo svolgimento dell’attività aziendale.
Confindustria è tra gli interlocutori privilegiati del Governo per l’ormai celebre Piano di ripresa e resilienza. Quali sono i settori e le categorie che più hanno sofferto l’emergenza pandemica?
La pandemia ha sicuramente determinato effetti devastanti sul settore del turismo in tutti i comparti: vacanziero, culturale, commerciale. Ogni stagionalità (invernale ed estiva) è stata coinvolta e questo è stato un danno importante perché il turismo è uno degli asset portanti del sistema industriale ed economico veneto. Per la ripartenza, oltre al completamento della campagna vaccinale e al green pass, sono necessarie soprattutto due leve: quella della semplificazione amministrativa per la realizzazione degli interventi necessari alla riapertura in sicurezza delle strutture ricettive, e quella di garantire liquidità alle imprese per consentire loro di provvedere alle necessità determinate dal Covid e di non fallire. Anche il comparto moda ha sofferto moltissimo, sia per la poca circolazione delle persone quanto per l’effetto smart working che ha fatto crollare la domanda dell’abbigliamento.
Per il Recovery Fund le imprese ci sono, ora si aspetta il governo. Quali sono le priorità di Confindustria Veneto?
Il Recovery Plan potrà dare un boost fenomenale allo sviluppo dell’Italia solo se avremo il coraggio di individuare pochi grandi progetti su nodi strategici, concentrando lì le risorse. Trasformazione digitale e transizione ecologica sono gli asset su cui puntare. Come Confindustria Veneto abbiamo già suggerito alcune grandi opportunità: un Hub per la produzione di idrogeno, che farebbe diventare il Veneto leader nell’attenzione all’ambiente e al futuro dell’energia; la Logistica Integrata, per rendere competitivo il Veneto integrando e digitalizzando i poli logistici e corridoi europei (TAV, A4, Porto, Aeroporti, Interporti); le Olimpiadi Invernali, occasione unica per investire sul territorio in modo sostenibile; la Mobilità sostenibile, per favorire l’innovazione ed il trasferimento tecnologico nel comparto dell’automotive.
Il virus ha avuto effetti devastanti anche sul lavoro, malgrado il blocco dei licenziamenti. Esistono alternative stabili e durature al blocco delle uscite per salvaguardare l’occupazione?
L’ho detto a più riprese: il blocco dei licenziamenti nei mesi dell’emergenza è servito a mantenere la coesione sociale. Anche grazie a questo il Paese ha resistito “psicologicamente” alla prova straordinaria della pandemia. Ma ora quella fase è finita. Non credo che ci sarà una emorragia di posti lavoro, almeno non qui in Veneto. A trovarsi in difficoltà saranno le aziende che facevano già i conti con una crisi strutturale prima della pandemia. Non possiamo tenere il blocco all’infinito per non affrontare crisi aziendali croniche. Bisogna sostituire la difesa del posto di lavoro con la difesa dell’occupabilità delle persone. Per affrontare le crisi croniche servirebbero vere politiche attive che oggi non esistono. Allo stesso tempo è arrivato il momento di formare i giovani con le competenze che servono alle imprese. A partire da un potenziamento degli Its, gli istituti tecnici superiori: il 90% di chi li frequenta trova lavoro.
A fine febbraio, in commissione Finanza alla Camera, Emanuele Orsini, vicepresidente di Confindustria per il Credito e il fisco aveva definito l’Irpef “un’imposta uscita dal bisturi del Dr. Frankenstein”. Una revisione generale da parte dello Stato non sembra più rinviabile…
Il fisco è una leva decisiva per la ripartenza dell’Italia. Un fisco nuovo, meno pesante su imprese e cittadini e più efficiente nel metodo e nei rapporti con l’amministrazione. Lo chiediamo da tempo e abbiamo fiducia che il Governo Draghi non sprecherà questa grande opportunità di cambiamento. Bisogna anzitutto agire sul perimetro, razionalizzando e semplificando. I punti di debolezza più gravi sono la tassazione effettiva e l’opacità del sistema. Con i meccanismi attuali un lavoratore dipendente che cerca di guadagnare un euro in più rischia di intascare al netto delle tasse pochi centesimi o, paradossalmente, anche di peggiorare la situazione economica complessiva della propria famiglia, perdendo bonus e detrazioni. Questo sistema non incentiva lavoro e produttività. Per questo Confindustria chiede da anni l’introduzione di meccanismi di favore fiscale anche per i lavoratori dipendenti, come la detassazione dei premi di risultato o la normativa fiscale del welfare aziendale.
In un recente forum lei ha sottolineato il ritardo della Regione su strade, ferrovie e banda larga. Qual è la road-map ideale da qui al 2030?
Da parte delle imprese forte è la richiesta di varare azioni volte alla valorizzazione delle filiere produttive, attraverso progetti di integrazione tra settori complementari (ad esempio: manifatturiero-turismo-agrifood) con obiettivi trasversali: upgrade digitali e promozione di progetti di ricerca che coinvolgano imprese in forma aggregata (RIR e Cluster) e Università. Intervenire sulle misure che rendono difficile gestire le tematiche ambientali (rifiuti, acqua, riciclo, riuso) proprio quando anche la UE mette al centro queste politiche per il futuro del territorio e delle nuove generazioni. Negli ultimi anni le imprese venete si sono caratterizzate per essere soprattutto produttrici di componenti, va promossa una inversione di tendenza, sostenendo la trasformazione in produttori di “prodotti finiti”, in grado di governare le filiere, non di subirle. Creare un ecosistema economico e sociale che sappia mantenere e attirare in Veneto i cervelli migliori e le competenze più qualificate. La permanenza del “capitale umano” è facilitata se trova un territorio che tutela il proprio ambiente, con una rete efficiente di trasporti e mobilità integrata, con infrastrutture materiali e immateriali all’avanguardia in grado di far crescere aziende e servizi ad alto valore aggiunto, dove le persone possono soddisfare anche le proprie aspirazioni.
L’ennesima crisi politica ha portato a Palazzo Chigi un supertecnico come Mario Draghi. È una risposta efficace all’Europa che ci chiedeva una governance efficace per gestire i 209 miliardi del Recovery?
II governo Draghi sta creando le condizioni per fare le riforme e gode di una indubbia autorevolezza a livello internazionale che può riportare l’Italia ad essere un interlocutore credibile e affidabile. Non sono un grande estimatore dei governi “tecnici”, credo che la politica sia importante e che debba fare la propria parte nelle scelte di indirizzo del Paese. Penso che il premier sia una figura abbastanza unica in questo panorama: sufficientemente libero da condizionamenti per prendere decisioni anche impopolari, ma al contempo in grado di muoversi in contesti politici nazionali e – soprattutto – internazionali con equilibrio e capacità di fare sintesi.
Come altre associazioni di categoria anche Confindustria spinge per una riforma della Pubblica amministrazione e della giustizia civile, ma le conseguenze per il mondo imprenditoriale non sono immediatamente intuibili. Che benefici potrebbero portare?
Le rispondo con qualche dato. Il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti burocratici con la PA è di 57 miliardi di euro; le inefficienze e la scarsa qualità di una parte dei servizi erogati dalla Pubblica amministrazione impattano negativamente sulla crescita del nostro Paese con una perdita stimata di circa 70 miliardi di Pil e, nel confronto internazionale, ci collocano al 33 posto su 36 Paesi OCSE.
Il sistema della giustizia italiana, pur caratterizzato da un alto profilo di professionalità dei magistrati, soffre del grande problema della lentezza nella celebrazione dei processi. Si stima, ad esempio, che una riduzione da 9 a 5 anni dei tempi di definizione delle procedure fallimentari potrebbe generare un incremento di produttività dell’economia italiana dell’1,6 per cento. Non mi sembra serva dire molto di più sul positivo impatto di queste due riforme, che dovranno accompagnare il PNRR, avranno sul sistema produttivo. Aggiungo che fino ad oggi nel testo del PNRR è mancata una vera partnership pubblico-privato. Mi auguro che venga attivata quanto prima. Le risorse pubbliche dovranno fare da leva a investimenti privati. Per questo dobbiamo capire come il Governo intende fare le riforme, perché altrimenti rischiamo che poi gli investimenti privati non arrivino.