Correlazione tra accusa e sentenza, la parola alla Cassazione

Reato in dichiarazione con le fatture “gonfiate”

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Con la sentenza n.43778/2023, la Corte di Cassazione affronta il tema della portata applicativa del principio di correlazione tra accusa e sentenza nell’ambito di un procedimento per il reato di dichiarazione fraudolenta.

“I Supremi Giudici, confermando la sentenza di condanna del giudice di merito nei confronti dell’imputato– spiega Salvatore Baldino, consigliere d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili –  hanno stabilito che la parziale, oggettiva inesistenza delle operazioni fatturate, rientra nel contesto dell’accusa di utilizzo di documenti concernenti operazioni inesistenti”.

“La sentenza ricorda poi come, secondo la legge – prosegue Baldino – non vi è una distinzione tra operazioni completamente inesistenti e operazioni parzialmente inesistenti, in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta come stabilito dall’articolo 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”.

In conclusione, la Corte ha enunciato il seguente principio: «non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza la decisione con cui l’imputato, accusato di avere, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicato elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti, sia stato condannato per l’utilizzo di fatture relative ad operazioni parzialmente, oggettivamente inesistenti, in quanto il reato di dichiarazione fraudolenta, previsto dall’art. 2 del d.lgs. n.74/2000, nel riferirsi all’uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non distingue tra quelle che sono totalmente o parzialmente inesistenti».