
Se il datore di lavoro sceglie di utilizzare la poca liquidità a sua disposizione per pagare gli stipendi ai dipendenti, determinando l’inadempimento verso l’Inps, incorre nel reato di cui all’art.2, commi 1 e 1-bis del Dl n.463/1983.
“La Corte di Cassazione, con la sentenza n.32967/2023 ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Bari – spiega Alfredo Accolla, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – che ha condannato l’imputato alla pena di un anno di reclusione e seicento euro di multa, per aver omesso di versare le ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti”.
“La Suprema Corte ha respinto la doglianza della difesa in ordine al valore probatorio del Dm10 virtuale generato dal sistema Uniemens, quale prova dello stato di decozione dell’azienda, sfociato nel fallimento poiché – aggiunge – il reato in oggetto è a dolo generico ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro in difficoltà economica abbia deciso di dare preferenza al pagamento dei dipendenti invece che ripartire le risorse esistenti in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo”.
“Ad avviso dell’Alta Corte – prosegue Accolla – la circostanza che l’azienda, alla scadenza mensile della relativa obbligazione retributiva, abbia continuato a corrispondere lo stipendio ai dipendenti, come emerge dai Dm10 virtuali, evidenzia come la crisi di liquidità non fosse ‘assoluta’ e che, pertanto, l’impresa non si trovava in quella situazione di impossibilità di compiere scelte alternative”.