Appendino: Il Paese ha bisogno di Torino, ma il Governo deve crederci

Per la sindaca la manifattura deve restare il fulcro della città

appendino

Quando, il 30 giugno del 2016, viene eletta sindaca di Torino, Chiara Appendino è mamma da poco più di sei mesi, appartiene a un movimento – quello dei 5 stelle – relativamente giovane dal punto di vista politico e si trova a prendere in mano una città problematica, dissestata finanziaramente e con il bisogno di ritrovare la propria identità. In questi cinque anni è accaduto di tutto: la tragedia di piazza San Carlo, la candidatura – poi ritirata – del capoluogo piemontese alle Olimpiadi del 2026, rimpasti di Giunta, vicende giudiziarie, minacce di morte indirizzate a lei, la pandemia. Ma Chiara Appendino è rimasta in piedi – pur rinunciando a ricandidarsi per il secondo mandato – tirandosi su le maniche e lavorando per portare a termine il suo programma e per gettare le basi per la Torino del futuro. Una Torino fatta di storia, di cultura, di industrie, di manifattura, di innovazione e internazionalizzazione. Abbiamo parlato con lei di questi cinque anni, di ciò che la attende e di come sarà possibile per la città fare il grande salto che merita.

A più di un anno dall’inizio della pandemia, i dati non sono incoraggianti. Quanto potranno aiutare Torino i fondi del Piano nazionale di ripresa e resistenza?
I fondi europei sono necessari e possono dare una grande spinta, perché le leve degli enti locali non sono sufficienti ad immettere nuove risorse nel sistema economico. I Comuni dovranno avere un ruolo fondamentale non solo perché sono i più bravi a spendere le risorse erogate, ma anche perché, in quanto terminali dello Stato, hanno sicuramente il polso della situazione. Come Comune abbiamo diversi strumenti a disposizione. Il primo è costituito dai Fondi react 2021-2023, destinati alle città capoluogo e, per Torino, valgono circa 70 milioni di euro. A queste risorse si aggiungono i Pon Metro (i Piani operativi nazionali) che saranno il triplo di quelli degli ultimi anni, e il Pnrr 2021-2026.

Dove e come destinerete queste risorse?
Per noi è stato necessario riorganizzare la macchina: assumeremo da qui ai prossimi tre anni 1000 giovani per essere pronti a progettare e spendere. Stiamo lavorando nell’ambito delle missioni che ci sono state assegnate e che riguardano temi come le periferie, il verde, la mobilità, la rigenerazione, il welfare. Stiamo definendo la progettualità e siamo già molto avanti.
Nell’ambito del Pnrr, le città sono soggetti attuatori e una parte delle risorse assegnate sarà definita tramite bandi. Per alcuni progetti, invece, i cosiddetti ‘flagship’, abbiamo ottenuto subito i fondi, come ad esempio i 100 milioni per la riqualificazione del Parco del Valentino. Poi, purtroppo, ci sono aspetti che non dipendono da noi, come il tema dell’automotive. Su questo mi aspetto che il Governo si attivi al più presto e che le risorse del Recovery accompagnino la transizione della filiera.

Secondo lei, quale contributo può ancora dare la città all’industria meccanica?
Da molto prima del Covid e già in campagna elettorale, abbiamo sempre sostenuto che la nostra città ha bisogno della manifattura. Il turismo è importante, certo, ma non possiamo fare a meno dell’industria. Tre anni fa abbiamo ottenuto dal Governo il riconoscimento di Area di crisi industriale complessa, uno strumento molto importante, per arrivare alla definizione di alcuni poli, tra cui l’area Mirafiori e la Cittadella dell’aerospazio. Qui abbiamo la filiera, le competenze e le professionalità; questi elementi, però, vanno accompagnati e supportati e ci sono tutti gli strumenti per farlo. E’ ovvio che il Governo deve crederci fino in fondo. L’Italia ha bisogno di Torino, per il suo passato, per il suo presente e per il suo futuro

La città di Torino, dalla storia profondamente radicata nel mondo dell’industria meccanica, come ha reagito alla crisi?
Eravamo devastati perché nessuno era pronto a una situazione del genere, ma abbiamo reagito in ogni modo possibile, anche se – ovviamente – i danni economici sono stati enormi. Abbiamo messo a disposizione tutto quello che avevamo. Lo abbiamo visto, in modo particolare sul welfare, dove il mondo del volontariato, il pubblico e il privato hanno lavorato insieme per aiutare le famiglie che si sono trovate dall’oggi al domani senza un reddito. Le imprese si sono messe subito al lavoro per garantire i protocolli di sicurezza e spazi a disposizione della sanità. C’è stata un’enorme solidarietà e ne sono molto orgogliosa. Il danno economico c’è stato e c’è, ed è per questo che dobbiamo guardare con fiducia al piano di rilancio del Paese che riguarderà l’economia reale. I prossimi mesi saranno i più difficili perché l’effetto delle misure non si vedrà immediatamente, quindi dobbiamo tenere duro.

Soffre di più l’industria o il commercio?
Le tempistiche sono diverse. Tutto il mondo del terziario, come ad esempio la ristorazione, ha sofferto dal primo giorno a causa delle chiusure. Molto dipenderà da come il Covid modificherà le nostre abitudini al consumo e come torneremo a vivere la quotidianità. L’effetto sull’industria sarà probabilmente più chiaro tra un po’ di tempo, dopo una fase di assestamento.

Il settore dell’industria meccanica ha risentito notevolmente del crollo delle esportazioni, che nel 2019 rappresentava una quota di oltre il 58%. Cosa si deve fare, anche a livello locale, per far salire questo dato?
Possiamo e dobbiamo fare squadra per far conoscere le eccellenze del territorio a livello internazionale, ed è esattamente ciò che fa il Comune di Torino. Ovviamente questo non ha un effetto diretto, ma indiretto. Mi auguro che con la ripartenza delle fiere la situazione possa migliorare.

Lei si è impegnata in prima persona per difendere i lavoratori dell’Embraco e la vicenda non si è ancora conclusa. Quali aspettative ha?
Si, è una vicenda estremamente delicata che, anche se non di nostra stretta competenza, ho seguito da vicino. Il mio auspicio è che questa situazione (il 22 luglio scadono i termini per la cassa integrazione e dal giorno successivo i licenziamenti dei 400 operai sarà effettivo, ndr) si possa risolvere tutelando i lavoratori e le lavoratrici e anche le loro competenze. Mi aspetto che il Governo intervenga per tutelare non solo questa realtà, ma anche le tante altre simili in tutta Italia.

Lei ha sostenuto la nascita del governo Draghi. Qual è il suo giudizio a distanza di pochi mesi?
L’ho sostenuto e, se tornassi indietro, lo farei ancora, ma non nego che mi sentivo più a mio agio con il Governo Conte. Spero ci possa essere davvero questa accelerazione sui vaccini e che sul Recovery si vada avanti spediti.

 

Card Appendino Tavola disegno 1

 

Lei ha deciso di non ricandidarsi alla guida di Torino. Cosa farà dopo?
Fino ad ottobre sarò qui e spero di riuscire a impostare l’uscita dalla crisi della città, anche grazie alla campagna vaccinale che, spero, per quella data sarà in dirittura d’arrivo. Sicuramente a metà novembre seguirò la prima edizione delle ATP Finals (uno dei più importanti tornei di tennis a livello internazionale, che fino al 205 si svolgerà a Torino, ndr). Poi, sicuramente, prenderò una piccola pausa per me e per la mia famiglia.

Si è mai pentita di aver rinunciato alla ricandidatura?
A dire il vero, la scelta più difficile che ho dovuto fare è stata dire di no quando mi hanno chiesto di fare la ministra nel Conte 2. Ho deciso di continuare a fare la sindaca e non sono affatto pentita, ma confesso che non è stata una decisione semplice…Ogni tanto mi chiedo cosa sarebbe successo se avessi accettato quell’incarico. Ho scelto di non ricandidarmi per ragioni note, i fatti sono oggettivi: i tempi della giustizia non coincidono sempre con i tempi della politica. Questo non significa che smetterò di lavorare sul campo e fare politica, soprattutto sui temi nei quali in questi 5 anni ci siamo impegnati di più, come l’innovazione, anche industriale, l’ambiente, i diritti, il welfare. Spero che chi ci sarà dopo di me continuerà a portarli avanti. Resterò un soggetto presente, ma non per forza con un ruolo di partito o di Governo.

Per fare politica bisogna essere a Roma?
No. Il ruolo di sindaco è complesso perché è il terminale dello Stato più vicino ai cittadini, soprattutto in caso di emergenza, come quella della pandemia. Ma a mio avviso è anche quello più bello. Noi abbiamo lavorato molto bene, a livello territoriale, con il secondo Governo Conte, quando siamo riusciti a portare a Torino le risorse per la Metro 2, la rinegoziazione del debito di 8 milioni, il Centro per l’Intelligenza Artificiale.

Come riconsegnerà la città?
Abbiamo un bilancio che vale circa 1,2 miliardi. La spesa più grossa che abbiamo e che limita la città nelle politiche espansive è il debito, che incide per circa 250 milioni all’anno. Abbiamo una rigidità di spesa che supera il 52% e solo Catania è come noi. Nel decreto “Salvadebiti”, Torino ha una quota che è tre volte maggiore rispetto a quella degli altri, perché è il Comune più indebitato. Dall’Amministrazione precedente abbiamo ereditato un buco di 80 milioni, generato dalla differenza tra entrate correnti e spese correnti.
Appena insediati, nel 2016, abbiamo rischiato di andare in predissesto; con la Corte dei Conti siamo riusciti a fare un Piano di rientro e, nonostante il Covid, il buco si è ridotto di 50 milioni, arrivando a 30. Queste risorse dovranno essere recuperate in parte con la Manovra che sta facendo il Governo e con una serie di interventi di efficientamento che si possono fare, ma che in piena crisi non possono trasformarsi in tagli che toccano direttamente la vita delle persone. Possiamo dire che abbiamo invertito la tendenza e questo permetterà di poter tornare un giorno a fare politiche espansive.

Guardando questi anni da sindaca, c’è una cosa che non rifarebbe più?
Quando sono arrivata avevamo un problema di classe dirigente, anche perché eravamo una forza politica nuova e senza esperienza. Non è stato facile trovarsi a governare dall’oggi al domani. Una cosa che sicuramente cambierei al 100% è la vicenda del Teatro Regio, che andava commissariato subito. Ho tentato di salvarlo, ma non è stato possibile.

Riconsegnerà la città migliore di come l’ha trovata?
Ho lavorato per questo, per una Torino con i conti più a posto, con molte situazioni risanate, con importanti eventi come i 5 anni delle Finals. Abbiamo affrontato in modo coraggioso temi come l’ambiente, con le piste ciclabili (+50%) e le piantumazioni, invertendo il saldo arboreo che è tornato positivo, solo per fare degli esempi. O come l’innovazione, preparando Torino ad essere punto di riferimento per l’industria del futuro. Gli effetti si vedranno sul lungo periodo, con il cambio delle abitudini dei cittadini. L’ultimo report sulla qualità della vita ha dimostrato quanto sia migliorata negli ultimi anni a Torino. Certo, non abbiamo risolto tutti i problemi della città.

Ha mai il rimpianto di non poter cominciare adesso a governare la città?
A parte la pandemia, sento di aver governato la città in tutti i suoi meccanismi negli ultimi 3 anni. Se dovessi iniziare oggi per altri 5 anni sarebbe molto più semplice, sia per una mia personale esperienza maturata, sia per quella della forza politica di cui faccio parte, sia perché abbiamo posto le basi per una serie di progettualità. Lascio alla città eredità importanti e per me questo è sufficiente. Il giudizio lo lascio ai cittadini. Terminiamo il mandato con la consapevolezza di aver fatto il massimo.