L’industria italiana torna a crescere: ha costi più bassi e alza prezzi di vendita

La performance messa a segno dalla nostra industria è la seconda migliore in Europa, solo la Francia fa meglio del Belpaese.

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A gennaio la manifattura italiana torna ad espandersi. La performance messa a segno dalla nostra industria è la seconda migliore in Europa, solo la Francia fa meglio del Belpaese. Il dato diffuso dall‘indice PMI, realizzato da S&P Global attraverso intervista a 400 direttori acquisti, segna il massimo degli ultimi sette mesi. A far risalire il made in Italy è il calo dei costi energetici, accompagnato da un aumento dei prezzi di vendita.

I numeri: l’indice destagionalizzato S&P Global PMI (Purchasing Managers’ Index) ha registrato 50.4, in salita da 48.5 di dicembre ponendo fine a sei mesi consecutivi di risultati inferiori a 50.0, dato spartiacque tra espansione e contrazione. “Malgrado sia indicativo di una crescita marginale, l’indice di gennaio è stato il migliore registrato dall’indagine da giugno 2022”. A supportare la prestazione del PMI “è stato il ritorno, anche se modesto, alla crescita della produzione, che riflette sia il relativo rafforzamento della disponibilità dei componenti nei mercati dei prodotti che l’espansione occupazionale”. La produzione però “è stata limitata dagli attuali crolli dei nuovi ordini ricevuti, con gli ultimi dati che hanno mostrato ad inizio 2023 il nono mese consecutivo di contrazione”. Le aziende campione hanno anche segnalato “come la domanda sottostante, sia domestica che estera, sia rimasta modesta. Detto questo, le vendite non sono diminuite allo stesso livello osservato tipicamente durante la seconda meta del 2022. Con la produzione e i livelli occupazionali in salita, ma vendite in calo, le imprese manifatturiere hanno di conseguenza iniziato a ridurre a gennaio il livello del lavoro inevaso”.

Ora, “poiché il divario tra domanda e l’offerta si è accorciato, l’inflazione dei prezzi ha continuato la sua corsa al ribasso”, si legge nel comunicato di S&P Global PMI. L’indagine di gennaio ha sottolineato “come l’inflazione dei costi si sia ridotta al livello più basso da agosto 2020 e, malgrado sia evidente qualche residuo di pressione inflazionistica, alcuni dati hanno mostrato una riduzione dei prezzi di energia e dei petrolchimici che hanno spinto il livello generale di inflazione dei costi più in basso. Inoltre, è stato registrato un livello di inflazione dei prezzi di vendita più lento che ha fatto raggiungere ai prezzi l’aumento minimo in due anni. L’inflazione riportata però è stata notevolmente maggiore di quella dei prezzi di acquisto, le aziende infatti, dopo un lungo periodo di aumento dei costi, hanno cercato di recuperare i loro margini”.

Paul Smith, Economics Director di S&P Market Intelligence , definisce “forti” gli aumenti dei “prezzi di vendita”, i quali sommati alle “condizioni del mercato del lavoro che rimangono difficili”, potrebbero aumentare la “pressione sull’inflazione di fondo” rischiando di “diventare la preoccupazione principale per i mesi futuri”.
Ad ogni modo l’indice tricolore di gennaio, col suo 50.4, ha battuto le previsioni di un 49.6 e ha stampato un risultato nettamente superiore a quello dell’Eurozona rimasta inchiodata a 48.8. In Europa, nonostante maxi interventi dei governi contro il caro-bollette, si sono registrati cali particolarmente elevati in Austria e Germania. Quest’ultimo è risultato il peggior Paese, come performance, tra quelli selezioni da S&P Global PMI con 47,3, tre punti meno dell’Italia.