L’innovazione in un mattone. È Catalyst, paladina dell’edilizia sostenibile

Franco Paolieri: “Il nostro sistema consente di demolire dei palazzi e ricostruirli nello stesso posto e con lo stesso materiale”

architettura sostenibile

Una start up innovativa nata seguendo i principi di architettura sostenibile, mettendo al centro del proprio operato il rispetto del territorio. Catalyst è una realtà che vuole promuovere il riciclo di edifici esistenti ormai in disuso, utilizzando per la ricostruzione i materiali che derivano direttamente dalle demolizioni. Applica un sistema di produzione sul posto dei manufatti che servono per dare vita alle nuove costruzioni, evitando così anche le emissioni di Co2 derivate dai trasporti dei materiali. Un approccio culturale, che segue gli obiettivi dello sviluppo sostenibile. Ne abbiamo parlato con Franco Paolieri, uno dei fondatori di Catalyst.

La vostra storia è relativamente recente: come siete arrivati a far nascere l’idea di Catalyst?
Nasce da una semplice osservazione. Ci fu una persona a noi vicina che un giorno si chiese: “Cosa ne facciamo di tutta questa polvere di marmo che da un paio di secoli sta inquinando la provincia di Carrara?”. E qualcuno disse “Mettiamola nel mattone del babbo”, che aveva pensato di brevettare una specie di mattone multiplo che poteva accogliere materiale di questo genere. Così è nata la prima idea. Successivamente abbiamo pensato di riempire questo manufatto con componenti diversi, che potevano essere altre forme di lapidei, non ultimo il ricavato della demolizione dell’edilizia in genere. Siamo arrivati al punto di mettere insieme un sistema che potrebbe consentire di demolire una serie di palazzi e ricostruirli nello stesso posto, con lo stesso materiale, ma più resistente di prima e in tempi piuttosto brevi e competitivi. Questo è stato l’iter che ci ha portato fin qui.

La sostenibilità è il vostro core business e in questi ultimi anni sta diventando un tema sempre più centrale per le istituzioni italiane ed europee: vi aspettate un’accelerazione ulteriore che possa coinvolgervi?
Certamente. Quando io oggi guardo un panorama dall’alto e vedo una città piena di tetti, penso che sotto ogni tetto c’è un palazzo. E penso che tutto quello che vedo oggi avrà un suo fine vita. La domanda che rivolgo al resto del mondo è: “Dove sarà messo questo materiale quando si arriverà a demolizione?”. Nulla sarà eterno. Se poi vogliamo aprire un discorso sulla resistenza di quei materiali che oggi compongono il patrimonio edilizio, vi dico che da piazzale Michelangelo di Firenze si vede ancora qualche piccola cosa costruita dagli antichi Romani: ci sono le terme di Firenze che hanno ancora quelle mura originali. Alcuni edifici, per la loro natura, hanno resistito migliaia di anni, ma ci sono anche quelli che non arriveranno al secolo prossimo.

mattoni

Quale può essere, secondo lei, il futuro dell’edilizia nei prossimi dieci anni?
Sarà più indirizzato verso la resistenza del fabbricato. Il terremoto del Centro Italia ci ha insegnato a mettere giudizio su tutte le fantasie che hanno dato luogo a edifici dotati di ottime caratteristiche termiche, anche al di sopra di quel limite che serve: per anni siamo andati a fare anche quello che non serve in termini di resistenza termica, trascurando la resistenza meccanica e molti altri aspetti. Il terremoto ha dimostrato che palazzi di cemento armato, solo per essere stati tamponati tra le colonne di cemento con dei mattoni a bassa resistenza, vuoti, sono finiti in ginocchio.

Vi immaginate che possano arrivare degli impulsi anche governativi in tal senso?
Me li aspetto, voglio pensare che si vada a migliorare in questi campi, anche se non ci spero più di tanto. Gli impulsi che finora abbiamo ricevuto sono stati piuttosto criticabili, come l’esagerazione delle quantità di ferro contenute nel cemento armato. Si vedono dei casi in cui una colonna di ferro riempita di cemento sarebbe quasi una soluzione preferibile. Servono dei limiti anche da questo punto di vista. Se il cemento armato scoppia perché c’è troppo ferro dentro, qualcosa non va. Per anni la si è ritenuta una miglioria. Nessuno ci ha mai detto che le travi orizzontali di ferro sarebbero meglio di quelle di cemento armato, mentre per quelle verticali vale l’inverso. Abbiamo le autostrade piene di ponti con travi in cemento armato, ora si sta pensando a come fare per sostituirle per ragioni di sicurezza, visto che iniziano a dare motivi di preoccupazione sotto il profilo della resistenza e della manutenzione dopo 50 anni. È stato dimostrato che due mattoni fatti con il peggior materiale possibile preso da demolizioni, incollati con la colla, sono più resistenti di due mattoni nuovi, vergini, incollati con la malta. Bisognerebbe prendere questo principio ed espanderlo, lavorando proprio nel settore della resistenza. Una volta un professore mi disse: “Come fa a sostenere che sbriciolando il mattone e ricomponendolo se ne ottiene uno più resistente di prima?”. Io risposi: “Professore, io aggiungo del cemento. Il risultato sarà sicuramente inferiore al cemento puro ma superiore alla terracotta”. Il professore ammise di non averci pensato.

C’è qualche tematica che, potendo, vorrebbe sottoporre alle istituzioni per la crescita del vostro settore?
Il mercato e l’edilizia pubblica non hanno ancora recepito a sufficienza quella che è, secondo noi, la notizia del secolo. Il terremoto del Centro Italia ha dimostrato che in quell’area ci sono 2 milioni e 700mila tonnellate di materiale da demolire e nessuno sa dove metterlo. Collocarlo in nuove costruzioni sarebbe l’idea vincente, a condizione che qualcuno si assuma la responsabilità, che qualcuno faccia partire un’iniziativa del genere. Noi siamo rimasti a livello di progettazione, fase sperimentale e poi fermi ad aspettare che finisca prima la crisi dell’edilizia, poi quella del Covid, quindi quella della paura e della responsabilità di chi deve prendere decisioni. Siamo qui ad aspettare che qualcuno capisca, più che convinti che la strada da seguire sia questa.

Pensa che il Pnrr possa rappresentare un’occasione per le imprese italiane?
Noi non siamo qui per approfittare di finanziamenti e fondi, ma per cercare di dimostrare che lavorare in un certo modo sarebbe meglio, e i nostri brevetti sono a disposizione di chi vuole utilizzarli. Il Pnrr potrebbe essere l’occasione per far diventare i luoghi terremotati la più grande fabbrica italiana. C’è da pensare che i paesi terremotati sono stati costruiti nei secoli. Pensare che si possa, in pochi giorni, demolire tutto ciò che è danneggiato e ricostruire in tempi rapidissimi è follia. Se poi si pensa di portare via il materiale e consegnarlo alle discariche limitrofe, si è fuori strada. Proviamo a calcolare: la più grande motrice che abbiamo può portare 30 tonnellate, in 100 chilometri produce quasi 2 tonnellate di Co2. C’è da pensare anche all’inquinamento, oltre all’impegno relativo al trasporto di questo materiale. Che conseguenze avrebbe una scelta del genere? La migliore soluzione sarebbe lasciarlo sul posto e riutilizzarlo.