
In tema di reati tributari, la Corte di Cassazione (sentenza n.23299/2023) ha stabilito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto nei confronti del legale rappresentante di società a patto che risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nel patrimonio dell’ente.
Tuttavia, tale impossibilità non richiede l’inutile escussione del patrimonio sociale, essendo sufficiente la presenza di elementi sintomatici dell’inesistenza di beni in capo all’ente.
Nel caso in esame, la Corte d’Appello di Messina ha condannato l’imputato, in relazione all’omesso di versamento di IVA oltre la soglia monetaria (art. 10 ter D.lgs. n. 74/00), applicandogli la pena della reclusione e ordinando la confisca di euro 568.848.
“La Suprema Corte ha richiamato, in via preliminare, il proprio orientamento interpretativo secondo cui, in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, l’onere motivazionale del Giudice che dispone la confisca di valore prevista dall’art. 12 bis del D.lgs. n. 74 del 2000 di beni dell’imputato, attesa la natura obbligatoria di detto provvedimento – spiega Salvatore Baldino, consigliere d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – è limitato alla sussistenza dei presupposti legali della sua applicazione, consistenti nella impossibilità di disporre la confisca diretta del profitto o del prezzo del reato nel patrimonio della persona giuridica, nella disponibilità del bene oggetto di confisca per equivalente da parte dell’autore materiale del reato e nella corrispondenza del valore del bene al profitto o al prezzo del reato”.