Il Covid spinge l’export digitale. E il margine di crescita è ancora elevato

de3

La pandemia da Coronavirus e il conseguente lockdown hanno impattato notevolmente sul volume delle esportazioni delle aziende italiane. In parallelo, però, la situazione di emergenza ha accelerato il ricorso ai canali digitali per gli scambi con l’estero.

I temi

  • Così la pandemia ha spinto l’export digitale
  • Una tendenza in atto da qualche anno
  • Una priorità, ma la strada da percorrere è ancora tanta

 

L’export digitale è diventato così di fondamentale importanza per tantissime realtà tricolori. Secondo uno studio di Promos Italia per Il Sole 24 Ore che ha interessato 399 Pmi, il ricorso a questo canale ha riguardato un’azienda su due, mentre quasi il 67% prevede un ulteriore sviluppo di questa modalità nel prossimo triennio.

A questi dati si aggiungono quelli di una ricerca effettuata da Qaplà, soluzione integrata nell’ambito dell’e-commerce, che rivela come il 2020 si sia chiuso con un aumento del 37% delle spedizioni digital dall’Italia verso i mercati esteri. Da segnalare l’impennata dei volumi verso gli Stati Uniti (+64%), Regno Unito (+57%) e Germania (+50%). Il digital export cresce anche, seppur in termini più ridotti, con Spagna (+30%) e Francia (+18%).  Per quanto riguarda i beni più esportati, i balzi maggiori su base annuale si registrano per il comparto dell’Elettronica (+205%), Jewelry (+78%), Wine&Beverage (+50%) e Fashion (+48%).

de2

Numeri che, di fatto, confermano una tendenza in atto già da qualche tempo. Nel 2019, secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, le esportazioni digitali generavano già un volume d’affari di 11,8 miliardi di euro, con una crescita del 15% rispetto all’anno precedente. Dalla stessa ricerca emerge però come, a fronte di questo incremento graduale, l’export on-line interessi ancora una parte troppo esigua delle imprese italiane. Solo il 40% usa infatti anche canali e-commerce per gli scambi con l’estero, più di una su due solo quelli tradizionali e il 9% non esporta affatto. Inoltre, il ricorso ai canali digitali, è relativamente cosa nuova: più della metà li utilizza da meno di quattro anni e solo un quinto da almeno dieci.

L’emergenza legata al Covid può aver spinto un numero maggiore di imprese a ricorrere all’export digitale, ma non può aver cambiato radicalmente lo scenario. Che, di fatto, resta un territorio le cui potenzialità sono ancora largamente da esplorare. L’e-commerce è infatti solo uno, sebbene probabilmente il più conosciuto, dei canali utilizzabili per il digital export. Una strategia aziendale ben definita dovrebbe però prendere in considerazione anche le opportunità offerte dai marketplace (ovvero le piattaforme che consentono l’incontro e lo scambio commerciale tra l’azienda che vende e quella che acquista) e dai social media, mettendo in atto precisi programmi di social selling.

de1

E a proposito di strategia: la difficoltà ad elaborarne una efficiente e lungimirante è uno dei problemi che rallentano lo sviluppo del digital export tricolore. Messa da parte la diffidenza verso le soluzioni digitali (atteggiamento in frenata, ma comunque ancora presente in molte imprese), sono diversi i fattori che incidono. È ancora la ricerca di Promos a individuare i principali, a partire dai costi, indicati da un’azienda su tre, per continuare con la difficoltà a trovare un partner locale (25,2%), i problemi a inserirsi nel mercato di sbocco (18,7%) e la lingua (7,9%).

Che questa sia però una strada ormai obbligata da percorrere e che anche le aziende l’abbiano capito lo confermano di nuovo i numeri: l’export digitale è considerato una priorità per 7 realtà su 10 e più del 20% è pronta a investire cifre comprese tra i 15 e i 50mila euro.