La fusione per incorporazione non preclude l’applicazione della sanzione pecuniaria ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, che disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n.26787/2023 con cui ha confermato, in via definitiva, la sanzione di 10.000 euro comminata alla ricorrente S.r.l., in relazione al reato previsto dall’art.256, comma 1, lettera a) del D.Lgs. n. 156/2006, commesso dal legale rappresentante.
“La Suprema Corte ha rigettato la tesi difensiva dell’errata valutazione da parte del Giudice di secondo grado della questione concernente gli effetti dell’operazione di fusione per incorporazione in altra società, ricordando – evidenzia Gianluca Buselli, consigliere d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – che il meccanismo di fusione, tanto più per incorporazione, determina un fenomeno che la giurisprudenza ha accostato alla ‘successio mortis causa’ stante la ‘successio in universum ius’ che essa comporta rispetto ai rapporti giuridici delle società preesistenti in favore della nuova società, ovvero della società incorporante”.
“Tale analogia, meramente descrittiva ed evocativa di fenomeni antropomorfici non riproducibili nei soggetti giuridici impersonali – prosegue Buselli – esaurisce i suoi effetti sul piano del diritto civile, non potendo certamente ritenersi che, per effetto dell’intervenuta estinzione della società dovuta alla sua fusione per incorporazione in altro soggetto collettivo, si realizzino tutte le conseguenze che sono proprie dell’avvenuto decesso dell’imputato”.