Le fatture per operazioni inesistenti non provano il profitto del reato

I calcoli basati su documenti non affidabili non possono essere considerati attendibili

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La sentenza n. 47410/2023 della Corte di cassazione stabilisce che nel caso del reato di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, nell’ambito di una frode carosello, il “profitto” del reato non può essere determinato basandosi sul contenuto delle fatture false, in quanto queste non costituiscono una fonte di prova affidabile. Piuttosto, è necessario considerare il “prezzo” effettivamente pagato dagli utilizzatori delle fatture fasulle agli emittenti.

“Secondo la sentenza, il calcolo del margine medio sulle vendite effettuato dalla Corte territoriale è stato definito ‘approssimativo e ipotetico’ – spiega Fedele Santomauro, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – e si basava su un’accertamento cartolare derivante da fatture prive di valore probatorio effettivo, poiché erano documenti fasulli creati per coprire operazioni commerciali chiaramente fraudolente”.

“Per la Suprema Corte – conclude Santomauro – i calcoli basati su documenti non affidabili non possono essere considerati attendibili secondo i principi di certezza che informano il sistema penale”.