
La sola previsione contrattuale dell’aumento del canone in base all’indice Istat o del pagamento di interessi per spese di ristrutturazione non basta a giustificare una tassazione, se manca la prova che tali somme siano state effettivamente richieste e percepite. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n.8301/2025.
Nel caso in esame, una società locatrice aveva previsto nel contratto stipulato con il conduttore sia l’adeguamento annuale del canone all’indice Istat, sia il pagamento di interessi a fronte di lavori di ristrutturazione sostenuti dal locatore.
“Secondo la società, né l’adeguamento del canone è mai stato richiesto né gli interessi riscossi, poiché i lavori avevano interessato solo marginalmente l’immobile. Nonostante ciò – evidenzia Felice Colonna, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – l’Agenzia delle Entrate ha proceduto a un accertamento induttivo, ritenendo tali maggiori redditi comunque percepiti sulla base della clausola contrattuale”.
In sede di ricorso, l’Amministrazione finanziaria ha sostenuto che l’assenza di una rinuncia formale da parte della locatrice avrebbe giustificato la presunzione di effettiva percezione dei canoni aggiornati e degli interessi.
“La Suprema Corte, respingendo integralmente il ricorso – conclude Colonna – ha ricordato che l’attualità del diritto all’aggiornamento del canone non nasce automaticamente dalla previsione contrattuale. In altre parole, è necessaria una richiesta esplicita del locatore, che costituisce condizione imprescindibile per l’effettiva maturazione del diritto”.