
Diciotto stabilimenti in 4 continenti, quasi 20.000 dipendenti in tutto il mondo e 50.000 addetti legati all’indotto solo in Italia. Bastano questi numeri per capire come il Gruppo Fincantieri rappresenti un’eccellenza dell’industria italiana riconosciuta ovunque, grazie al suo ruolo di leader nella progettazione e costruzione di navi da crociera e di operatore di riferimento in tutti i settori della navalmeccanica ad alta tecnologia. Un vero colosso che, come molte realtà industriali, ha dovuto fare i conti con i difficili mesi della pandemia. Dei risvolti della crisi e degli scenari futuri abbiamo parlato con Giampiero Massolo, presidente di Fincantieri dal 2016 dopo una brillante carriera diplomatica e dopo essere stato per quattro anni alla guida del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza. Un profondo conoscitore, dunque, delle dinamiche sullo scacchiere internazionale, sempre più importanti per le realtà industriali del nostro Paese.
Qual è stato l’impatto della pandemia sulla cantieristica in generale, e su Fincantieri in particolare?
L’ultimo anno è stato tra i più difficili per l’economia globale dal secondo dopoguerra ad oggi, segnato da una crisi senza precedenti, che ha investito praticamente ogni settore industriale, compresa la cantieristica nel suo complesso. Il comparto militare ha tenuto, sostenuto da programmi nazionali e sovranazionali di medio e lungo termine, mentre il crocieristico ha sofferto in modo molto acuto. Fincantieri però è riuscita a mantenere intatto il portafoglio, senza nessuna cancellazione di ordini. In generale, come testimoniato dagli ultimi risultati che abbiamo presentato relativi al primo trimestre, il 2021 sarà ancora un anno di assestamento, mentre la ripresa cominceremo a vederla nel 2022. Come Gruppo abbiamo messo in campo protocolli all’avanguardia per contrastare il coronavirus e tutelare la salute dei nostri lavoratori, con misure che hanno rappresentato un riferimento per tutta l’industria italiana, siamo stati tra i primi a fermare le attività durante il lockdown e tra i primi a ripartire. Tutto ciò ci ha permesso di affrontare un periodo molto difficile.
Come giudica la situazione complessiva dell’industria meccanica italiana?
In questa fase vedo un problema dovuto principalmente all’approvvigionamento di materie prime, in particolar modo dell’acciaio. Il tema è tale da investire non solo l’industria meccanica, ma l’intera economia nazionale. Per questo motivo restiamo convinti che una misura come quella della sospensione dei dazi di importazione possa essere una soluzione che potrebbe calmierare il mercato e consentire a vari operatori di affrontare il delicato momento della ripartenza. In questo ambito recentemente abbiamo firmato con ArcelorMittal Italia e Paul Wurth Italia un accordo per valutare la riconversione del ciclo integrale esistente dell’acciaieria di Taranto secondo tecnologie ecologicamente compatibili, allargando l’intesa anche a progetti per il contenimento delle emissioni e alla realizzazione di acciai ad alta resistenza per la produzione di navi e grandi infrastrutture. Crediamo insomma che la filiera siderurgica costituisca un valore imprescindibile per il Paese, una risorsa fondamentale per la manifattura italiana, che ambisce a rimanere la seconda in Europa.
Quali sono le principali direttrici per lo sviluppo e il rilancio di Fincantieri una volta usciti dall’emergenza sanitaria?
Come abbiamo sentito molte volte in questi mesi, e io ne sono fermamente convinto da tempo, una crisi può rivelarsi anche un’importante occasione di rilancio. Se dobbiamo fare delle proporzioni, ci troviamo allora al cospetto di opportunità enormi, oserei definirle potenzialmente epocali. L’Italia, infatti, sconta ritardi in diversi ambiti rispetto agli altri Paesi europei. In particolare sono due i settori che potrebbero beneficiare dei fondi dei piani di ripresa e nei quali Fincantieri può essere protagonista: le infrastrutture e la digitalizzazione. Per il primo filone abbiamo recentemente siglato con Enel X un accordo per la realizzazione e la gestione di hub portuali di nuova generazione, a basso impatto ambientale, e per l’elettrificazione delle relative attività logistiche a terra attraverso l’implementazione del cold ironing, ovvero la tecnologia per l’alimentazione elettrica in banchina delle navi ormeggiate durante le soste. Per quanto riguarda le nuove tecnologie abbiamo raggiunto un’intesa con Amazon Web Services, in assoluto primo operatore di servizi cloud al mondo, capace di garantire le più alte prestazioni sotto tutti i profili, specialmente in termini di sicurezza. Anche la CIA americana, infatti, ha scelto questo player per le proprie strutture informatiche. Questa cooperazione potrà fornire un contributo importante ad accelerare l’innovazione digitale del Paese, fondamentale per la sua crescita e per stare al passo con le altre grandi potenze.
Investire e innovare: sono questi i due pilastri per mettere in modo la ripresa economica? Come si traducono in concreto nella strategia di Fincantieri?
Se si vuole restare competitivi in uno scenario da sempre globale ed estremamente complesso sia in termini di concorrenza sia di domanda, non si può prescindere da una strategia d’impresa al contempo accorta e lungimirante. Il nostro Gruppo, con anticipo rispetto alla crisi e proprio per affrontare situazioni di questo genere, ha da tempo optato per un costante ampliamento delle proprie competenze, che ha costituito il primo passo verso la creazione di una solida piattaforma di business, accompagnato da un’ottimizzazione dell’attività produttiva e al conseguimento di una dimensione globale. Fincantieri è l’unico complesso cantieristico al mondo attivo in tutti i settori ad alto valore aggiunto della navalmeccanica, e questo patrimonio di esperienze ci permette di presentarci anche in nuovi ambiti, come il già citato comparto delle infrastrutture, realizzando diversi progetti tra i quali spicca il nuovo ponte di Genova. Nel solco di questo percorso di crescita, abbiamo acquisito una quota di maggioranza del capitale di Insis, oggi ribattezzata Fincantieri NexTech, una società attiva nei settori dell’information technology e della cybersecurity, non solo rafforzando così l’attività di sviluppo di applicazioni anche nell’elettronica della difesa, ma anche avviando progetti quali il sistema di nuova generazione per il monitoraggio e la sicurezza delle infrastrutture autostradali, entrato in esercizio sulla rete Aspi alla fine dell’anno scorso.
Come giudica in generale il PNRR varato dal governo? Quale ritiene possa essere il suo ruolo nell’uscita dalla crisi pandemica?
Il PNRR è un’opportunità straordinaria per il Paese e il governo è impegnato nella difficile sfida di rispettare i requisiti legati alla tempistica ed alla destinazione dei fondi che sono stati fissati dall’Unione Europea. Credo sia importante sottolineare come, al di là dello sforzo che sta compiendo l’esecutivo, è fondamentale che il processo venga accompagnato da tutte le articolazioni del nostro Sistema Paese. Quella del Recovery Plan, infatti, è più che mai una sfida collettiva, in cui è in gioco il futuro dell’Italia non solo sul piano economico, ma anche sul piano ambientale, sanitario, infrastrutturale. Si tratta di un banco di prova per la stessa tenuta sociale del Paese, alle prese tra gli altri anche con il problema della denatalità e della fuga dei giovani verso l’estero. In questa prospettiva, il PNRR è molto più di un piano di rilancio, è un progetto per gettare le nuove fondamenta del patto sociale sul quale è destinata a poggiare l’Italia di domani.
Sono 62 i miliardi di euro destinati a interventi sulle infrastrutture, sulla mobilità e sulla logistica sostenibili. Ritiene questa somma adeguata? Quali sono le prime urgenze su cui operare?
Il settore delle infrastrutture portuali rappresenta certamente un’area strategica di sviluppo. Va ricordato che oggi l’intero cluster portuale in Italia genera il 2,6% del Pil, mentre il solo porto di Rotterdam genera il 2,1% del Pil dei Paesi Bassi. È evidente che vi è un gap da colmare. Gli ambiti di intervento sono moltissimi. Tanto per citare i principali, va menzionato il costo della logistica che gli operatori devono scontare nel nostro Paese, superiore alla media UE, la connessione non ottimale con il sistema industriale nazionale, la scarsa digitalizzazione della catena logistica, senza contare i bizantinismi amministrativi. Per il rilancio di questo comparto abbiamo pensato a una transizione green e digitale, che vada a toccare trasversalmente tutti i punti, sfruttando le tecnologie più innovative e per la quale mettiamo a disposizione le nostre capacità ingegneristiche e gestionali.
Lei vanta un’importante carriera da diplomatico ed è presidente dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale). Quanto un ruolo di primo piano a livello internazionale è importante per rilanciare l’economia italiana?
Il rilancio dell’economia del Paese ha oggi più che mai bisogno delle migliori energie che l’Italia è in grado di esprimere in ogni settore. Le competenze che sono proprie della carriera diplomatica, tra le quali qui vorrei sottolineare in particolare l’apertura al mondo e la capacità di confrontarsi con realtà anche totalmente diverse da quelle del nostro Paese, sono oggi indispensabili per affrontare le incognite di un’economia globale che, come la crisi sanitaria ci ha confermato, resta nonostante tutto profondamente integrata. La capacità di elaborare visioni d’insieme di realtà complesse, quali quelle tipiche dei fenomeni globali, diventa pertanto indispensabile per adottare decisioni strategiche che ci consentano di difendere e promuovere adeguatamente gli interessi nazionali. Sotto questo profilo, è rilevante altresì l’attività dei nostri think tank, tra cui ISPI che ho l’onore di presiedere in questo momento, che attraverso l’analisi dei temi internazionali elaborano possibili opzioni di policy a beneficio del dibattito pubblico nazionale. Un’attività particolarmente preziosa laddove si ambisca a ridare slancio al settore economico di un Paese, come il nostro, che ha una straordinaria vocazione all’export ed una naturale propensione al dialogo ed alla collaborazione internazionali. Oggi conoscere il mondo è sempre più importante; comprenderlo, tuttavia, è indispensabile.
Qual è secondo lei l’orizzonte temporale per la ripresa economica del Paese? E per l’azienda che presiede?
È molto difficile oggi ipotizzare indicazioni in questo senso. Credo che l’Europa, pur con alcune resistenze burocratiche che segnano la sua attività, con Next Generation EU abbia definito un piano proporzionale all’emergenza, quanto meno alle prime fasi che tutti i governi del continente dovranno affrontare. Le risorse ora ci sono. Le tempistiche con cui avranno effetto i benefici di questa grande manovra dipenderanno poi dal nostro Paese e dalla capacità di programmare gli investimenti più opportuni. In questo frangente l’urgenza di prendere decisioni tempestive è massima, quindi mi ritengo personalmente ottimista sull’efficacia di una generale ripresa. Per quanto riguarda Fincantieri ci tengo a sottolineare che si tratta di un’azienda in piena salute. Se il contesto andrà normalizzandosi, avremo un importante balzo dei volumi, attorno al 20%, a recupero della perdita di produzione dello scorso anno. E nei prossimi 3-4 anni prevediamo un aumento dei ricavi medio del 10%, grazie agli ordini in portafoglio e a una strategia che esalterà la nostra leadership.
Come si immagina Fincantieri tra 5 anni?
La società che vedo è multidomestica e globale, ma con la testa in Italia, fedele a stessa ma in continuo cambiamento, come il mare che è al centro di tutti i nostri progetti. La sfida maggiore dei prossimi anni sarà riuscire a consolidare quanto già avviato, mantenendo le posizioni preminenti conquistate, al contempo allargando lo spettro delle competenze e, di conseguenza, della presenza in nuovi segmenti. Resteremo nel perimetro della nostra cultura e storia, ma ci metteremo ancora in gioco perché siamo consapevoli di essere uno dei pochi player globali del Paese.