
La Corte di Cassazione (sentenza n. 19717/2025) ha stabilito che il sequestro preventivo impeditivo non può essere applicato a una società, anche quando questa sia indagata per responsabilità da reato ai sensi del D.lgs. 231/2001.
Nel caso in esame, a una società veniva contestata la distrazione di carburante agricolo a fini privati in favore dei soci e di terzi, in violazione dell’art. 40, comma 1, lett. c), e 45 del D.lgs. 504/1995. A ciò si aggiungevano episodi di corruzione in concorso con appartenenti alle forze dell’ordine.
“I Supremi Giudici hanno chiarito che il sequestro impeditivo, previsto dall’articolo 321, comma 1, del codice di procedura penale – spiega Michela Benna, consigliera d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – non può essere esteso agli enti collettivi, come società. Alla base, l’articolo 53 del D.Lgs. 231/2001, che disciplina le misure cautelari reali applicabili alle società e non contempla tale strumento. Secondo la Suprema Corte, esiste una differenza sostanziale tra il sequestro preventivo previsto per le persone fisiche e le misure adottabili nei confronti delle persone giuridiche. L’unica forma di sequestro prevista per gli enti – prosegue Benna – riguarda il prezzo o profitto del reato, o beni di valore equivalente, come stabilito dagli artt. 19 e 53 del decreto”.
Inoltre, il legislatore ha volutamente escluso il sequestro impeditivo nel caso delle società, come previsto dalla Relazione ministeriale al D.lgs. 231/2001, in cui si spiega che l’obiettivo non è bloccare indiscriminatamente l’attività dell’ente, ma solo colpire i benefici economici derivanti dal reato.