La sentenza n. 46244/2024 della Corte di Cassazione ha stabilito che il giudice penale deve considerare attentamente le allegazioni difensive volte a dimostrare l’esistenza di crediti compensabili e costi sostenuti dall’impresa. Questi elementi possono ridurre l’importo dell’imposta evasa al di sotto della soglia di punibilità prevista dalla normativa.
“Il caso in esame, trae origine dalla condanna pronunciata dalla Corte d’Appello di Milano nei confronti del legale rappresentante di una s.r.l., imputato del reato di omessa dichiarazione, relativamente all’anno d’imposta 2015. L’imputato – sottolinea Salvatore Baldino, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – ha lamentato l’omessa valutazione, da parte dei giudici di secondo grado, di elementi che avrebbero potuto dimostrare un’imposta evasa inferiore alla soglia di punibilità”.
La Suprema Corte ha, infatti, rilevato che i giudici d’Appello non avevano valutato adeguatamente alcuni documenti a sostegno delle allegazioni difensive. Tra questi, la dichiarazione IVA 2014 e le risultanze dello “spesometro”; documenti che, per gli Ermellini, avrebbero invece dovuto essere considerati per determinare il reddito imponibile.
“Questa decisione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui il giudice penale deve verificare l’imponibile e l’imposta evasa utilizzando elementi documentali precisi. Anche in assenza di documentazione completa – conclude Baldino – strumenti come lo spesometro possono fornire un quadro attendibile della situazione fiscale”.