La mancanza di autorizzazione alle indagini finanziarie non implica l’inutilizzabilità dei dati acquisiti, salvo che ne sia derivato un concreto pregiudizio al contribuente.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n.17098/2023, specificando che la sua mancata allegazione ed esibizione all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso d’accertamento.
“La sentenza impugnata ha erroneamente applicato sia l’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, che l’art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 – spiega Rosa Santoriello, consigliere d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili -laddove ha affermato che i prelevamenti e i versamenti devono comunque essere superiori alle risultanze contabili per essere considerati sotto il profilo presuntivo, mentre ha correttamente escluso l’illegittimità dell’atto impositivo per l’omessa allegazione dell’autorizzazione all’acquisizione dei dati relativi ai conti correnti bancari del contribuente”.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, la mancanza di autorizzazione alle indagini bancarie rende le stesse illegittime solo ove si sia tradotta in un concreto pregiudizio per il contribuente, in conformità alla concezione sostanzialistica dell’interesse del privato alla legittimità del provvedimento amministrativo, espressa, in via generale, dall’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990.
“Nel caso di specie non solo non è stato dedotto il concreto pregiudizio derivante dall’eventuale mancanza dell’autorizzazione – conclude Santoriello – ma l’esistenza di questa è stata comunque accertata dal Giudice di merito, anche se l’Amministrazione finanziaria non l’ha prodotta”.