Il sistema pensionistico italiano paga ancora oggi il conto di quelli che vengono definiti ‘baby pensionati’. Un’epoca in cui bastavano appena 14 anni, 6 mesi e un giorno di contributi per ritirarsi dal lavoro, senza limiti di età. Scelte politiche hanno contribuito a creare un sistema pensionistico insostenibile, con un continuo innalzamento dell’età pensionabile, che ha raggiunto la sua massima espressione con la riforma Fornero nel 2011.
“Nonostante tutto però, il tema della previdenza integrativa sembra ancora poco sentito. Secondo i dati dell’Osservatorio Moneyfarm – spiega Michela Benna, consigliera d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – solo un italiano su quattro ha sottoscritto un fondo pensione, e moti di loro sono ‘contribuenti silenti’ che non effettuano versamenti. Entro i prossimi 15 anni, si stima che la spesa pensionistica potrebbe raggiungere il 17% del PIL. Intanto – prosegue Benna – tra i 24,2 milioni di cittadini nati tra il 1965 e il 1994, il 74% non ha aderito a un fondo pensione e chi ha aderito versa mediamente 2.004 euro annui, con rendite stimate intorno ai 295 euro mensili netti al momento del pensionamento”.
Il peso del divario di genere si riflette anche nella previdenza. Le donne, che già subiscono un tasso di occupazione inferiore rispetto agli uomini, aderiscono meno ai fondi pensione.
Tra i 30 e i 39 anni, solo il 17% delle donne aderisce, contro il 27% degli uomini.
Preoccupante anche l’utilizzo del Tfr: solo il 22% degli italiani lo destina alla previdenza integrativa, preferendo lasciarlo in azienda o al Fondo di Tesoreria dell’Inps.