Con la sentenza n.30550/2024, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna per autoriciclaggio di una donna che aveva utilizzato denaro rubato per acquistare polizze vita a proprio nome.
L’imputata, che era già stata condannata in primo e secondo grado, aveva sottratto del denaro al cognato e lo aveva trasferito sul proprio conto corrente, utilizzandolo poi per sottoscrivere polizze assicurative.
“La Suprema Corte, rigettando il ricorso, ha affermato che la condotta di autoriciclaggio è integrata dall’impiego di denaro proveniente da un delitto presupposto – sottolinea Felice Colonna, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – purché tale impiego sia idoneo a ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa”.
“Secondo i giudici, la dissimulazione della provenienza del denaro non deve essere totale per configurare il reato di autoriciclaggio. È sufficiente – conclude Colonna – che l’operazione effettuata sia idonea, ex ante, a rendere più difficile l’identificazione del reato a cui il denaro è legato”.