Dichiarazione infedele, la sentenza della Suprema Corte

La sentenza è stata depositata lo scorso 21 gennaio

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Con la sentenza n. 2383/2025, la Terza Sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito che la condanna per dichiarazione infedele risulta nulla se l’accertamento del superamento della soglia di punibilità non tiene conto dei costi di gestione desumibili dalla documentazione extracontabile.

“Per determinare l’imposta evasa, il Giudice penale deve considerare le regole fiscali applicabili, tenendo anche conto delle limitazioni derivanti dalla diversa finalità dell’accertamento penale. Questo – ha sottolineato Guido Rosignoli, vicepresidente della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – implica che i costi non contabilizzati devono essere valutati, purché esistano allegazioni fattuali che rendano certa o almeno ragionevolmente dubbia la loro presenza. Ai sensi dell’articolo 533, comma 1 del Codice di Procedura Penale, il Giudici deve dichiarare l’insussistenza del reato in caso di ragionevole dubbio sul superamento della soglia di punibilità. Tale dubbio – prosegue Rosignoli – deve essere fondato su fatti verificabili e non su mere congetture o automatismi”.

La Suprema Corte ha ribadito i seguenti punti: l’ammontare dell’imposta evasa è un elemento costitutivo del reato di dichiarazione infedele; la prova dell’imposta evasa è responsabilità del pubblico ministero, il quale deve considerare sia elementi a carico che a discarico, compresi eventuali costi sostenuti per generare i ricavi non dichiarati; se l’indagato lamenta la mancata deduzione di costi inerenti ai ricavi accertati, deve provarne l’esistenza o fornire dati utili per dedurli.