L’Europa vuole rendere la ‘Silicon Saxony’ il più grande centro di semiconduttori

Si tratta del quinto polo tecnologico al mondo di microelettronica

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L’impegno delle istituzioni comunitarie per mettere a terra l’ambizione di rendere l’Unione Europea una potenza leader nel settore della produzione di semiconduttori e microchip inizia a prendere un risvolto sempre più concreto. “Dresda è indiscutibilmente un faro digitale in Europa, dal 2026 qui si produrranno semiconduttori su larga scala”, è l’annuncio della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel cuore della ‘Silicon Saxony‘ (il quinto polo tecnologico al mondo di microelettronica, situato nel Land tedesco della Sassonia), durante la cerimonia di posa della prima pietra di un nuovo stabilimento di Infineon Technologies AG: “La regione può contare su oltre mille posti di lavoro a prova di futuro”.

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Quella annunciata dalla presidente dell’esecutivo Ue è una notizia “estremamente importante” per gli sforzi di raggiungere l’autonomia strategica nel settore digitale e delle tecnologie verdi. I microchip sono piccoli dispositivi composti da semiconduttori (materiali in grado di consentire o bloccare il passaggio di elettricità), che possono memorizzare grandi quantità di informazioni: sono presenti in “automobili, smartphone e dispositivi elettronici di ogni tipo”, ma anche in tutti quegli strumenti necessari “per la fornitura di energia elettrica, nelle turbine eoliche, nei treni ad alta velocità e negli enormi centri dati”. In altre parole, semiconduttori e microchip “sono una componente indispensabile per il futuro sostenibile e digitale dell’Europa”, ha messo in chiaro von der Leyen.

Tutto parte dalla consapevolezza che il continente non può più legarsi a contesti geopolitici instabili. In questo momento “il centro mondiale è costituito da Taiwan e dalla Corea del Sud”, una regione in cui le tensioni “potrebbero esplodere in qualsiasi momento”, come dimostrano le tensioni crescenti tra Cina e Taiwan: “La minima interruzione degli scambi commerciali colpirebbe immediatamente la solida base industriale europea e il nostro Mercato interno”. Ecco perché a Bruxelles e nelle 27 capitali si sta lavorando per rendere la produzione su larga scala di semiconduttori una realtà. La base di partenza è l’European Chips Act, la legislazione comunitaria che affronta la carenza di questa produzione sul territorio dell’Unione. L’obiettivo è il raddoppio della quota europea della produzione globale entro il 2030, “portandola al 20%”, ovvero “quadruplicare la nostra attuale capacità”, dal momento in cui lo stesso mercato dei semiconduttori è destinato a raddoppiare: “Per l’European Chips Act l’Ue e gli Stati membri stanno spendendo fino a 43 miliardi di euro”.

Negli ultimi mesi sono arrivati gli esempi positivi dei finanziamenti del Recovery Fund, che “stanno già contribuendo alla costruzione di chip innovativi e ad alta efficienza energetica”, mentre la revisione della politica di aiuti di Stato “sta dando i primi segni di successo con le fabbriche di chip all’avanguardia a Catania, in Sicilia, e a Crolles, vicino a Grenoble”, ha rivendicato la numero uno dell’esecutivo comunitario. La ciliegina sulla torta è proprio Dresda, dove si è concretizzato “il più grande investimento singolo nella storia” di Infineon Technologies AG. Contemporaneamente è necessario un “duro lavoro” per garantire all’Unione l’accesso alle materie prime “necessarie per l’economia di domani”. Il riferimento di von der Leyen è al Critical Raw Materials Act, la legge Ue sulle materie prime critiche che affronta i rischi attuali della dipendenza dall’Asia: “I metalli di silicio sono la materia prima più utilizzata nella produzione di chip” e “la Cina, che ne rappresenta il 76%, domina la produzione globale”. Una dipendenza del genere “è un rischio”, ha avvertito von der Leyen, proprio nel cuore di quello che dovrebbe diventare uno dei maggiori distretti di semiconduttori al mondo.